L’argomento è di stringente attualità, soprattutto dai tempi dell’uscita di “Born tu Run”, il libro di Christopher McDougall del 2009, dove con tesi più o meno sostanziate scientificamente si raccontavano le gesta di superatleti avampodalici che correvano con niente ai piedi, ispirandosi alla tribù dei Tarahumara.
Durante i corsi di running che tengo, e con frequenza quasi ridondante, mi viene posta questa domanda, che ha una sola causa: risiede nel bombardamento mediatico e di social che negli ultimi anni si è registrato sulla rete, unito all’onda del minimalismo della calzatura sportiva, che crea non poca confusione.
Il fenomeno arriva, per inciso, in clamoroso ritardo rispetto alla tendenza americana che lo ha originato, e che non solo si è attenuata negli Stati Uniti, ma che ha registrato dei minimi assoluti nella vendita delle calzature minimaliste. Adesso ha trovato spazio anche in Italia, ed è per questo che è assolutamente necessario sfatare alcuni luoghi comuni che si stanno rinforzando esclusivamente per effetto ripetitivo.
Torniamo quindi alla domanda: si deve correre in avampodalico (sulle punte) o retropodalico (sui talloni)? La risposta è: dipende. Non parlerò in questa sede di calzature minimaliste, argomento che tratterò nelle prossime uscite, e tornerò sulla risposta: il nostro corpo risponde a certi stimoli in modo naturale; la corsa non è esattamente un automatismo come la camminata, ma risponde in ogni caso alla nostra geometria articolare, alla nostra condizione di fisiologia muscolare, e si muove di conseguenza nell’ottica del massimo risparmio metabolico, come fa il nostro corpo per ogni attività che gli imponiamo.
La priorità nel podismo è assolutamente questa: il risparmio metabolico. Quindi non c’è bisogno di chiedere al proprio corpo quali strategie userà perché questo avvenga, la nostra è una macchina così perfetta che ci risponderà nel modo più efficace senza la necessità di porgli dei quesiti. A chi mi pone questa domanda gli dico: corri, non ci pensare, il tuo corpo sa come fare, non farti condizionare.
Allora, non si corregge niente?
Il nostro corpo è una macchina perfetta, il nostro piede è la nostra interfaccia con la superficie d’appoggio. Il piede è un organo di incredibile complessità, organo di senso e di moto, strumento di ammortizzamento come adattatore al suolo e di leva rigida come propulsore, si srotola e si compatta per essere più efficace nella spinta, certo che a volte possiamo aiutarlo con informazioni sensoriali, biomeccaniche, con la scarpa giusta e l’attività adeguata.
Gli altri aspetti riguardano certe piccole correzioni frequentemente necessarie e peraltro legate ancora all’aspetto del risparmio metabolico, quali velocità della corsa, frequenza del passo e ampiezza della falcata, intensità, frequenza, volume allenamenti, programmazione gare, stretching, respirazione ecc., tutti argomenti che analizzeremo nel prossimo articolo.