Nel precedente articolo abbiamo evidenziato che la natura del tutto fisiologica della fase di pronazione diventa, o può diventare, patogenetica quando tale movimento è eccessivo riguardo all’angolo di eversionecalcaneare, al parametro della velocità, alla sua durata non fisiologica e al timing non rispettato nella sincronia di attivazione muscolo-articolare della struttura podalica.

Gli americani, che sono grandi semplificatori, ne hanno capito l’importanza e hanno modernizzato significato e significante, applicando alla pronazione una terminologia ben chiara e definita: se proni troppo si parla di overpronation, se proni poco si parla di underpronation.

Sono ormai scarse invece le indicazioni circa i supinatori, bestie rare, come specie in estinzione, per la necessità di sottolineare quanto sia determinante la fase della pronazione in appoggio podalico, in qualsiasi modo si corra, con qualsiasi calzatura lo si faccia. Potremmo provocatoriamente definire, insieme al termine di “iperpronatori”, il neologismo di “ipopronatori”, da sostituire a quello di “supinatori”.

Cosa c’è di sbagliato nella terminologia di scarpa antipronatoria?

Ecco la necessità di chiarire ancora l’aspetto sia nella forma sia nel contenuto:
1. Queste scarpe NON perseguono il loro fine, cioè non eliminano la fase di pronazione
ma soprattutto:
2. Queste scarpe NON devono assolutamente avere questa finalità.

A cosa serve questo tipo di calzatura?

Gli studi attualmente più accreditati ci dicono che né le scarpe stabili, né tantomeno i plantari riescono a ridurre sensibilmente gli angoli di eversione calcaneare e medializzazione della sottoastragalica e, secondo gli ultimi studi, pare che non agiscano efficacemente neppure sulla dimensione della rotazione interna ed esterna dell’arto inferiore, accademicamente data per scontata negli ultimi anni.

Se è elemento evidente il riequilibrio dei picchi pressori del carico podalico, i nuovi studi ci indicano anche che plantari e scarpe stabili ridurrebbero la velocità della pronazione. Questi due aspetti risultano fondamentali nello studio dei fattori alla base dell’iperpronazione, e quindi nella prevenzione e nell’approccio terapeutico, soprattutto quando la richiesta funzionale incrementa in relazione a peso o velocità, ritmo e falcata, durata e persino drop della calzatura.

In sostanza, plantari e scarpe stabili riuscirebbero a fare il loro dovere e sarebbero spesso chiave di soluzione di importanti sintomatologie, ma per ragioni diverse da quelle che consideravamo valide fino a poco tempo fa.

In conclusione, che scarpa devono scegliere gli “iperpronatori”?

Runner lenti e pesanti hanno un tempo più lungo nella fase di appoggio intermedio, sviluppano carichi maggiori e più elevate compressioni sull’intersuola. Se poi manifestano anche un’iperpronazione, risulteranno particolarmente esposti a patologie conseguenti. Per loro, e per soggetti che in generale presentano iperpronazione, possono essere indicate scarpe stabili, ma la valutazione circa l’opportunità di usare un tipo di scarpa o un altro resta sempre legato a molte variabili che devono essere considerate dal professionista di competenza.

Le scarpe stabili sono tradizionalmente più rigide e pesanti, quindi spesso sconsigliate o mal digerite dai runner, ma i nuovi materiali hanno permesso di perseguire finalità di leggerezza e ammortizzazione unite a capacità di controllo e stabilità del movimento. Di qui la necessità di una visita posturale e biomeccanica con un podologo con competenze di biomeccanica e posturologia, e la possibilità di un riequilibrio posturale e muscolare per ridurre eventuali compensazioni e sovraccarichi che potrebbero superficialmente indirizzarci verso una tipologia di calzatura non ideale per il runner in questione.