Sarà sicuramente capitato a molti di voi di provare un dolore pungente sotto il tallone dopo un po’ che camminate, correte o, peggio, di sentirlo già ai primi passi che si fanno dopo essersi alzati dal letto. La causa più comune di quel dolore, ma non l’unica, è la fascite plantare, una sintomatologia da sovraccarico che coinvolge quella robusta fascia fibrosa che unisce la zona plantare interna del calcagno con la base delle dita e che ha funzione di stabilizzazione degli archi plantari del piede, sia in statica sia, soprattutto, in dinamica. I carichi, nella corsa, possono infatti arrivare a 3-5 volte il proprio peso.
Quella spina nel piede
La parte più frequentemente interessata è quella più interna della fascia, quella che corre dalla tuberosità mediale del calcagno alla base dell’alluce, in quanto rappresenta la parte più forte, ma anche quella che più spesso porta problemi.
Fino a poco tempo fa si pensava che la causa dell’incremento di tensione sulla fascia fosse dovuta all’eccessivo schiacciamento dell’arco plantare negli individui che presentavano una sindrome pronatoria importante e che questa tensione determinasse, come risultato, la formazione della spina calcaneare. Questa correlazione era ampiamente acquisita nella comunità scientifica, fino a che ricerche hanno dimostrato che la spina calcaneare si forma all’origine del muscolo flessore breve delle dita e non della fascia plantare.
Muscoli e fascia plantare
Il gioco di squadra tra i muscoli intrinseci dell’arco podalico e la fascia plantare diventa così un’evidenza, definendo i ruoli biomeccanici delle varie strutture: la fascia plantare agisce passivamente per immagazzinare e restituire energia, mentre i muscoli dell’arco sviluppano un ruolo dinamico nel gioco dei carichi. Pare che i muscoli plantari intrinseci agiscano con la fascia plantare per prevenire l’abbassamento dell’arco nella fase di appoggio intermedio, mentre assistono per risollevare l’arco plantare durante la propulsione. Se il muscolo flessore breve delle dita sostiene come si deve la fascia, riuscirà a decelerare la dorsiflesisone delle dita nella fase propulsiva, distribuendo la pressione tra le dita e le teste metatarsali; se invece è debole, questo determinerà un incremento dei carichi a livello della fascia, determinando questa condizione da sovraccarico, che prende il nome di fascite plantare.
Il nome fascite è, come spesso accade, fuorviante, in quanto non si tratta di un’infiammazione, vista l’assenza di cellule di natura infiammatoria, ma di una riorganizzazione delle fibre di collagene che la compongono, quindi la fascite è più simile a una tendinosi. Dovremmo in realtà parlare di fasci-osi.
Cosa deve fare il runner?
- Consultare subito lo specialista, ovvero il podologo, dato l’andamento di natura progressiva della sintomatologia, e contestualmente sviluppare un programma di riequilibrio della catena muscolare posteriore, anche con esercizi di mobilità e forza a carico della muscolatura di soleo e gastrocnemio, tibiale posteriore, ischio crurali e muscolatura abduttoria in particolare. Se necessario, dovrà anche perdere peso.
- Il podologo, tramite valutazione clinica e l’uso di strumenti quali pedane baropodometriche e stabilometriche, analizzerà la vostra biomeccanica, tratterà la vostra fascite, vi aiuterà nella scelta della calzatura sportiva più adatta e, se necessario, predisporrà un’ortesi plantare che faccia al caso vostro. L’esito del trattamento è positivo al 90%.
- Possono essere indicati massaggi sotto la pianta (possono essere utilizzate palline da golf o da tennis), ma evitate assolutamente trattamenti DIY (do it yourself) per non peggiorare la situazione ed essere obbligati a forzati stop. Sconsiglio invece fasciotomie, release della fascia, e iniezioni di corticosteroidi.