Dal 2012 l’Osteopatia è stata inclusa nei servizi di accoglienza medica ai Giochi Olimpici: 24 osteopati sono stati selezionati per entrare nel team medico del London Olympic Committee 2012. L’impatto dell’osteopatia nello sport, oltre che in ambito pediatrico, geriatrico, di gravidanza, in ambito ospedaliero post-chirurgico, ecc., sembra essere progressivamente riconosciuto nei settori tradizionalmente occupati da altre figure professionali, segno che se ne cominciano a conoscere e riconoscere i benefici, le modalità terapeutiche, i campi di applicazione.
In ambito sportivo l’Osteopatia si rivolge in modo particolarmente efficace ai problemi dell’atleta, intervenendo sul riequilibrio, sulle capacità di recupero, sulla funzionalità del movimento specifico, su tutti i disturbi locali del sistema muscolo-scheletrico, sulle problematiche traumatiche e da sovraccarico, sul miglioramento della performance.
L’Osteopatia è una terapia manuale, quindi è necessario utilizzare le mani, avere un contatto col paziente, continuo, non ci si ferma all’osservazione, si ascolta, si aspetta, si palpa, si definiscono delle alterazioni di consistenza, di movimento, di forma, si procede poi ad un ragionamento clinico per definire la causa che ha determinato la disfunzionalità, e su queste basi si procede col trattamento.
Le difficoltà della terapia manuale e del trattamento manipolativo prevedono il reperaggio delle strutture, la conoscenza dell’anatomia palpatoria, ma soprattutto una sensibilità palpatoria, una competenza dettata dall’esperienza, per definire la tecnica più efficace.
La valutazione stessa della disfunzione, che determina una funzionalità compromessa o alterata delle componenti del sistema somatico del soggetto, varia perché è necessariamente globale, e non si deve fermare alla sua localizzazione anatomica di riferimento sintomatologico, non può!!
Il termine inglese “Tensegrity” (integrità tensionale), coniato nel 1955 dall’architetto Richard Buckminster-Fuller, deriva dalla combinazione delle parole “tensile” ed “integrity”, spiega in maniera piuttosto esaustiva i termini di una nuova complessità.
Il corpo è rappresentabile come una struttura tensegritiva, in cui il movimento di una sola struttura mette in gioco l’intero sistema, determinando alterazioni a livello cellulare, molecolare, biochimico e ovviamente muscolo-scheletrico. Caratteristica fondamentale del sistema complesso tensegritivo è la ‘struttura a rete’, tramite network che distribuiscono le forze in modo non lineare. Ma nel nostro corpo si deve parlare, a complicare il concetto, di BIOtensegrità.
La nuova concezione del nostro sistema corpo trasforma necessariamente l’idea delle strutture rigide come impalcatura, alla quale i tessuti molli sono appesi, e lo sostituisce con un modello che funziona sulla base di tensioni e compressioni. Sono le strutture molli a dare stabilità alle strutture rigide.
Quindi i pilastri ossei sono soggetti alla fluttuazione nel mare della tensione generata dai tessuti molli. In questo senso non solo la visione tradizionale biomeccanica viene a perdere di senso, ma in qualche modo anche la terapia manuale classica basata sulle manipolazioni, poiché il posizionamento osseo dipende più dall’equilibrio del connettivo che da vertebre ‘facilmente’ riallineabili e correggibili tramite il trattamento manipolativo.
Il segnale meccanico resta, restano linee di tensione e di compressione, ma la nostra valutazione circa la fisiologia articolare che le sottende non può prescindere dalla fisiologia cellulare che viene nondimeno alterata.
Il sistema biologico cellulare e molecolare risponde a questo principio, rilevando segnali meccanici e trasformandoli in segnali biochimici (meccanotrasduzione). Il tessuto connettivo risponde alla disfunzione con alterazioni del pattern della sua trama, il corpo si trasforma. La disfunzione si manifesta con asimmetria, restrizione di movimento e dolorabilità (TART).
A seconda della durata in cui tali processi restano in atto si verificano una serie di modificazioni. Nello stadio acuto calore, umidità, ipertonia, rappresentano gli aspetti più rilevanti, nello stadio cronico riconosciamo riduzione del calore, secchezza, atrofia, irrigidimento tessuti. Quando la problematica è acuta i margini di recupero sono molto elevati, nello stadio cronico vengono messe in atto una serie di risposte da parte del nostro organismo molte delle quali non reversibili, rendendo il nostro lavoro meno efficace e il recupero del paziente/atleta più lungo e complesso, anche se la problematica era inizialmente di scarso rilievo… di qui la necessità di intervenire subito, anche solo per un semplice sovraccarico.
Quindi, per riassumere, dobbiamo sottolineare che tutte le strutture che trattiamo, responsabili del nostro movimento e della nostra sintomatologia, sono tessuti biologici, e come tali rispondono a leggi non esclusivamente lineari. Poiché i tessuti biologici, inclusi muscoli e fascia, presentano linee di tensione e compressione non lineari, non possiamo usare le leggi lineari della fisica quando cerchiamo di spiegare e descrivere la complessa fisiologia che li sottende, perché le leggi della fisica non esauriscono sufficientemente la complessità del sistema del vivente.
Questo è quello che per anni sia la Biomeccanica che la Chinesiologia hanno proposto: in realtà vedere legamenti, cartilagini e ossa come un semplice sistema di corde e bastoncini che agiscono tramite leve è un approccio non corretto, sicuramente non completo, per spiegare e descrivere la complessa attività di un sistema complesso e integrato come quello di riferimento.
Allo stesso modo il principio di catene muscolari e miofasciali, che dal principio olistico della propagazione delle forze e della funzione in modo lineare trae spunto, deve essere rivisto in ottica di comprensione del funzionamento del sistema di contiguità, del tutto biologico, cellulare, che lo sottende. Il modello biomeccanico, che anche podologicamente ha abbracciato nuove teorie e nuove strategie conseguenti, passando dalla cultura della deformità di ‘rootiana’ memoria a quella dello sviluppo delle forze del ‘tissue stress theory’ non ha difficoltà ad aggiornarsi secondo nuovi paradigmi e potrebbe definirsi come un modello Biomeccanico-cellulare, dando un’importanza maggiore a quel prefisso BIO, che precede la parola BIOmeccanica. Lo shift del paradigma di utilizzo della nostra scienza deve adesso incentrarsi più sulla funzione che sulla struttura.
Saranno a questo punto le strutture veramente continue nello spazio del nostro territorio cellulare, a determinare l’efficacia dei trattamenti, e la Fascia rivestirà un ruolo sempre più importante. Ma che cos’è la Fascia?
Se, attualmente, anziché parlare di catene muscolari si parla di catene miofasciali significa che la sua funzione viene sempre più riconosciuta a livello scientifico, che siamo pronti ai prossimi passi verso un approccio terapeutico sempre più guidato dall’evidenza scientifica. Ma di questo parleremo nel prossimo articolo…