Diciamo subito, per far chiarezza, che non ci piace, come in altri casi, neppure questa definizione. Che vuol dire essere supinatori? Fisiologicamente quasi tutti supiniamo dopo aver pronato, è il momento in cui il piede si ricompatta e come leva rigida si presenta pronto per l’avanzamento. Ma, ancora una volta, richiamandoci alla chiarezza degli americani, come abbiamo in precedenza parlato di “iperpronatori” (quando la pronazione è eccessiva in termini di angoli, velocità e durata), potremmo utilizzare il concetto di “ipopronatori”, cioè di soggetti che pronano di meno.

Chi sono gli “ipopronatori”?

Questi soggetti non hanno la possibilità di assorbire l’impatto che hanno i pronatori e gli iperpronatori, avendo ridotto quello sviluppo di carichi che fa sì che il peso possa essere dissipato su più punti della struttura podalica. Il piede, in questo caso, resta in appoggio sulla parte laterale e non può utilizzare il suo rotolamento fisiologico verso l’interno sul piano frontale, né utilizzare fisiologicamente quelle strutture deputate all’ammortizzazione e controllo, quali fascia plantare e muscolatura intrinseca, inficiando la regolare fisiologia delle strutture podaliche sovrasegmentarie.

Come puoi sapere se sei un “ipopronatore”?

Per sapere se il runner presenta queste caratteristiche si può valutare la corsa con audiovisivi, sensori, su threadmill, o più semplicemente si può osservare l’usura della calzatura o l’impronta che lasciamo sulla soletta.

La valutazione clinica globale ci fornisce elementi di conferma circa lo squilibrio muscolare, funzionale e strutturale dei soggetti appartenenti a questa tipologia, esplora la possibilità di eventuali eterometrie strutturali o funzionali, definisce la tipologia podalica e la mobilità generale del runner, illumina circa i rapporti di causalità e le correlazioni con già manifeste sintomatologie.

Valutazioni in ortostasi e in scarico, su pedana baropodometrica, o con impronta a terra, ci definiscono con maggior precisione i segni prodromici di una tipologia di sviluppo dinamico ipopronatorio.

Una semplice analisi self-service dell’usura della scarpa può essere fatta andando a osservare il consumo del battistrada: nella scarpa dell’ipopronatore l’usura è sulla parte laterale del tacco e dell’avampiede, mentre gli iperpronatori presentaranno usura sulla parte laterale del tacco e sulla parte mediale dell’avampiede.

Quali sono gli infortuni tipici?

Gli ipopronatori sono anch’essi, e a maggior ragione, esposti a patologie, attualmente sempre più studiate, ma che non trovano ampio spazio nella letteratura medica, specie se paragonate a quelle correlate agli iperpronatori. In realtà questa dimenticanza è poco giustificata: il 60% per cento di coloro che ipopronano si trova a rispondere di sintomatologie di vario tipo, tra cui inevitabilmente quelle localizzate sul piede.

Gli ipopronatori, secondo gli studi, sono particolarmente esposti a infortuni come fasciti plantari, tendiniti, sindrome della bandelletta e distorsioni in inversione, lombalgia, dolore alle anche, ginocchia e caviglie. È emergente, inoltre, una comune predisposizione alle metatarsalgie, mentre le ricorrenti fratture da stress si presentano nella maggior parte dei casi a livello del quinto metatarso.

Cosa succede a livello biomeccanico?

Una correlazione abbastanza logica, e tuttavia non automatica, ci porta a considerare gli ipopronatori e i soggetti con piede cavo o rigido nella stessa categoria di atleti. Questi runner si contraddistinguono per la mancanza di un momento pronatorio fisiologico, per la rigidità della struttura podalica che spesso li accomuna e per l’accorciamento della catena muscolare posteriore, in particolare a livello di tibio-tarsica sul complesso soleo-gastrocnemio con conseguente incremento della durata del tempo di appoggio sulle teste metatarsali.

A onor del vero, bisogna ricordare che soggetti con piedi cavi non sempre ipopronano, così come soggetti con volta plantare poco pronunciata non sempre iperpronano, ma, statisticamente, la correlazione è importante.

Soggetti con piede cavo o rigido, o che ipopronano avranno di conseguenza una maggior pressione sulle teste metatarsali e sulla parte laterale del piede, con sintomi localizzati su queste aree. Infatti, un ridotto appoggio a terra su calcagno e teste metatarsali, senza lo sviluppo dello svolgimento delle tipiche linee dei picchi pressori, si andrà a localizzare in quelle aree specifiche di carico.

La riduzione della capacità di assorbimento dell’impatto è un rischio per le strutture esposte, poiché la pronazione dell’articolazione sottoastragalica rappresenta, come ho già evidenziato in altri articoli, uno dei sistemi di assorbimento primario dell’impatto a terra. Una riduzione non fisiologica della pronazione inficia anche il movimento di rotazione interna dell’arto inferiore e determina stress in valgo sul ginocchio, nel tentativo di portare l’aspetto mediale del piede a contatto col terreno, causando, nella migliore delle ipotesi, un primo raggio plantarflesso acquisito, cioè un’alterazione dell’appoggio podalico di natura compensatoria.

La capacità di compensazione su altre aree si determina solo se c’è abbastanza mobilità su altre strutture, podaliche e sovrasegmentarie, viceversa si risolverà in sintomatologia.

Nel prossimo articolo evidenzieremo le possibili soluzioni, ma si è capito sin d’ora, seppur nella complessità dell’argomento, che non si tratta di un appoggio ideale e che la possibilità di sviluppare sintomatologie è sempre dietro l’angolo.