Ha fatto molto scalpore il tentativo di scendere sotto le due ore nella maratona da parte di alcuni atleti, sponsorizzati, equipaggiati, allenati, nutriti e coccolati dalla Nike, nell’autodromo di Monza, sabato 6 maggio. Indubbiamente, un appuntamento con la storia.
Il tentativo di poter scendere di quasi tre minuti dal record del mondo è eclatante, seppur piuttosto curioso nei modi, e mi ha colpito da subito, come ci colpiscono tutti i record, tutti i passi verso l’impossibile: la relativizzazione del tempo nel superamento del suo valore numerico, il segno di un continuo e inevitabile miglioramento, il riposizionamento dell’asticella che dimentica il vecchio e celebra il nuovo.
Questa è la ricerca dell’assoluto, la voglia di record è il grosso passo di uno e il piccolo passo di tutti, fieramente abbracciati nell’appartenenza di genere, umano, e sempre animale, in movimento verso un assoluto che in qualche modo ci comprenda, anche noi, piccoli e lenti.
Ecco il risultato finale: 2:00:25. La maratona più veloce della storia! Scioccante. Per 26 secondi non si è scesi sotto le due ore…Si tratta di record del mondo, e che record, non omologabile, ma è record.
L’impresa di Kipchoge
Eliud Kipchoge scende sotto il primato del mondo, lo migliora di più di due minuti. Un’eternità. Onore a un grande, grandissimo atleta e a quelli che l’hanno accompagnato, onore al sacrificio, alla disciplina ferrea e ben remunerata, che questi atleti hanno mantenuto per mesi, osservati, nutriti, allenati, vestiti, come esperimenti scientifici in tutto e per tutto.
Un dato per capirsi: il ritmo da tenere, 2:50 min/km circa. Provate con i vostri gps a mantenere per 500 metri questa velocità, no riformulo: cercate di arrivare a quella velocità e vedete di mantenerla per 100 m. Poi pensate che questi uomini la mantengono per più di 42 km. Questi sono veramente alieni. Chapeau!
Quasi un esperimento di laboratorio
Il problema è che, dopo questo scintillìo che ti colpisce e ti abbaglia, a uno sguardo più attento e approfondito, emergono necessariamente altri aspetti, legati al record non frutto di una gara, come quella di Berlino 2014 in cui Kimetto (peraltro non reclutabile dalla Nike per il tentativo, in quanto uomo Adidas) fa il suo 2:02:57, ma frutto di un test, quasi un esperimento di laboratorio che ha come fine una barriera cronologica.
Allora rifletto perplesso e decido che non mi appassiono completamente a questo tentativo di impossibile legato al brand, che riduce l’uomo atleta a un meccanismo e la corsa al solo tempo.
Non c’è il risultato agonistico, non c’è la gara, appunto. Non ci sono avversari che ti tagliano il fiato, che ti strappano metri in avanti o ti recuperano e ti sorpassano, ma lepri che ti spingono e incoraggiano, e ti proteggono in formazione. Non c’è strategia. Non ci sono neppure i ristori, ci si rifornisce con mezzi all’inseguimento di scalpitanti cavalli di razza.
Certo che ci sono le gambe, e le emozioni, e la fatica che si leggono dietro la faccia di Kipchoge, che ha dovuto rinunciare a gareggiare per tutto il 2017, per non invalidare la preparazione di questo record.
Le variabili tipiche di una gara sono ridotte al minimo: si corre a temperatura ideale, senza vento né pioggia, con percorso liscio, in piano e senza curve, con una linea laser a terra disegnata dall’auto, che dà l’esatto ritmo da mantenere.
Una performance incredibile
Ecco, al di là dell’evento numerico, della performance espressa, delle possibilità che apre dal punto di vista della ricerca, nel tentativo di spingere l’asticella sempre più là, mi sento in qualche modo tradito nel mio sogno di record, come se la mia voglia di assoluto si sgonfiasse di fronte a quell’incredibile performance, che resta, appunto non credibile.
Ripeto: Chapeau… per questi uomini che fanno cose impensabili dal punto di vista fisico e mentale, che hanno segnato un tempo impensabile ma, ancora, qualcosa non mi convince. Non posso tuttavia esimermi dal fare alcune valutazioni più ampie, più tecniche e meno filosofiche, che condividerò con voi nel prossimo articolo.